C’eravamo tanto amati, e poi, non ci amammo più. Succede. L’amore è eterno finché dura, sosteneva (ancor prima di Carlo Verdone) Henri de Regnier. Il matrimonio non si sottrae a questa massima: anch’esso è eterno solo finché dura. L’Italia nel Maggio del 1974, esattamente quaranta anni fa, tramite un referendum, ebbe la sua legge sul divorzio. Il fronte dei divorzisti lottò per i diritti civili. Fu una battaglia di civiltà.
Di pari opportunità. Di emancipazione. Pochi giorni fa è passata alla camera la legge sul divorzio breve: ora basteranno sei mesi in caso di consensuale, e dodici in caso di contenzioso, per separarsi. Come sempre in Italia la cosa ha creato dibattiti e polemiche, di vario tenore, da quello apocalittico “Sul dove andremo a finire, se per la fine di un matrimonio bastano solo sei mesi!!!” a quelli indefinibili di Giovanardi “E’ come sposare una puttana”. Passando per il No assoluto di Marina Ripa di Meana, intervistata da Matrix, giusto per non farci mancare niente. (Che poi uno si chiede perché intervistare la signora Ripa di Meana? Ed ancora: perché guardare Matrix? Nel mio caso è presto detto: ho una figlia di sette mesi, la passeggio con la tv accesa per non rischiare di addormentarmi io, nell’attesa del suo sonno). Le opinioni, come su qualunque argomento, sono molteplici. E la verità è che se l’amore finisce non vedo perché i coniugi dovrebbero restare legati per altri tre anni. I tempi biblici del divorzio in Italia non hanno salvato i matrimoni, hanno solo inasprito gli animi dei coniugi (oltre ad averli impoveriti, e di contro arricchito i loro avvocati). I tre anni di attesa non agiscono certo da deterrente. La fine di un amore non avviene dalla sera alla mattina. La fine di un rapporto di coppia implica sempre dolore, sofferenza, recriminazioni, ripicche (anche quando si è civili, colti ed emancipati: perché la fine di un amore fa male. Sempre), domande, sensi di colpa. O colpe attribuite. La voglia di tornare indietro, forse solo per abitudine, la voglia di andare oltre il proprio orizzonte. E fiumi di lacrime. E paure. La fine di un matrimonio è un fallimento sempre e comunque. Perché in quel rapporto andato in frantumi c’è la nostra storia. Brandelli di noi. Perché in quel rapporto avevamo investito. Perché ci sono dei figli. Una famiglia. Un… C’eravamo tanto amati… E allora non è pensabile che in sei mesi si sia svolto tutto il travaglio,le domande, le lacrime, il lutto (perché la fine di un amore è un lutto). E’ solo civile premettere che entro sei mesi, e non tre anni, inizi la metabolizzazione. Essa non può iniziare se ci sono tre anni di cause, avvocati, tempi biblici, e rinvii. Tutto ciò non fa riaffiorare l’amore che fu, aumenta solo il dolore. E allora volendo evitare dolore su dolore a me questa del divorzio breve sembra una legge di civiltà. E consiglierei a divorzio breve, facciamo coincidere… un matrimonio lento (quello, per fortuna, non si può imporre per legge. Basterebbe, a volte,un po’ di buon senso). L’amore è vero può finire, però si potrebbe aspettare prima di sposarsi. Perché il matrimonio è amore, interessi in comune, conoscenza, intesa. Una bella convivenza prima di convolare a nozze sarebbe auspicabile. Magari così non ci sarà il matrimonio, e neanche il divorzio: né lungo, né breve… e se si resiste a dieci anni di convivenza, una figlia, e si decide di sposarsi forse ci sono le premesse del per sempre…