Nel lontano 1977 Alan Sorrenti scalava le classifiche italiane vendendo oltre un milione di copie, e secondo me aveva capito tutto, perché, nonostante da secoli si discuta sull'origine dell'umanità e della vita sulla terra, è notizia di questi giorni che alcuni scienziati, a seguito della missione “OSIRIS-REX” della NASA, hanno scoperto nientemeno che la presenza di molti aminoacidi e di basi di DNA ed RNA nei numerosi campioni di rocce prelevati direttamente da un asteroide chiamato simpaticamente “Bennu”.

Nulla è a caso: questo nome - ho indagato - che sembra un diminutivo sardo, in realtà identifica una divinità egizia rappresentata da un uccello (che vola in cielo dunque) simbolo di nascita e resurrezione dopo la morte e quindi dell'eternità della vita. Gli elementi organici trovati su Bennu rappresentano i “mattoni della vita”.
Ben due riviste scientifiche accreditate, “Nature” e “Nature Astronomy” hanno pubblicato articoli che documentano il fatto che la Vita sulla terra sia dunque possibile espressione di un'inseminazione aliena di primordiali composti organici.
Le analisi effettuate su questi campioni di roccia, dimostrano la provenienza di Bennu dai confini del nostro sistema solare, forse datata miliardi di anni fa e quasi sicuramente la presenza di acqua, poi vaporizzata, lasciando però traccia evidente. È incredibile!
Prendendo subito le dovute distanze dalla tentazione di lasciarmi coinvolgere in speculazioni filosofico-teologiche e dalle loro inevitabili conseguenze subite dagli influssi della teoria tolemaica che vede la terra (e quindi l'Uomo!) al centro dell'Universo, trovo interessante invece, dopo questa recentissima straordinaria scoperta, rievocare il famoso “paradosso di Fermi” che esprime bene la contraddizione tra il presunto numero di civiltà aliene e la mancanza di contatti.
In altre parole: è ancora attuale la domanda “Siamo soli nell'universo?”.
La famosa astrofisica Margherita Hack non aveva dubbi: “Sì nell'universo c'è vita ma non ci somiglia”.
Mentre noi aspettiamo risposte sulle condizioni atmosferiche e sulla “vivibilità” dei tanti esopianeti scoperti o sulle analisi del liquido presente nel fiume scoperto sui Titano, uno dei satelliti di Saturno, non dimentichiamo che già negli anni '50 Enrico Fermi, mentre lavorava nei laboratori di Los Alamos, durante una discussione in pausa mensa coi colleghi sugli UFO, ipotizzò un interessante paradosso, sintetizzandolo così: “Dove sono tutti?” cioè: “Se esistono gli alieni perché non si mostrano?”.
La scienza ci dice che non ci sono molte probabilità che la vita si possa spontaneamente evolvere nell'Universo al punto da originare addirittura una forma intelligente molto evoluta. Troppi i fattori determinanti in gioco: presenza del carbonio, atmosfera e temperatura del pianeta e sua inclinazione rispetto all'orbita, distanza accettabile della stella cui gira attorno, eccetera, eccetera.
A ciò si aggiunge il pessimismo che definirei “cosmico” dell'Equazione di Drake:  “Una civiltà tecnologicamente evoluta può durare al massimo diecimila anni, dopodiché si distrugge o per cause naturali o culturali”, cioè non appena inventi i mezzi necessari per annientarsi. Pensiamo all'asteroide che ha estinto i dinosauri oppure, per contro, ai danni che stiamo facendo alla nostra atmosfera, inquinandola coi residui chimici dei nostri scarti energetici e condizionando giganteschi mutamenti climatici senza precedenti.
Forse ha ragione l'astronomo David Brin che nel 1983 ha formulato l'ipotesi della “Foresta oscura”: “Se esistono civiltà aliene, restano silenziose perché paranoiche”. In altre parole si presume che qualsiasi civiltà capace di viaggiare nello spazio, considererebbe minacciose altre forme di vita. Per finire, dunque, neanche oggi, nonostante tutti i nostri progressi culturali, riusciamo a dare una risposta alle secolari domande dell'uomo: “Chi siamo?” e “Siamo davvero soli?”.
E qui la tentazione filosofico-teologica di provare a rispondere al quesito ancor più profondo “Perché esistiamo?”.
Provo a uscirne indenne citando una frase di Erich Fromm del 1947, secondo cui “La natura umana non si può scorgere come tale, ma attraverso le sue diverse manifestazioni” (e già qui si può riflettere e discutere per giorni interi), che aggiunge anche: “L'amore è la risposta ad un bisogno fondamentale dell'uomo e la risposta alla sua solitudine che lo farebbe impazzire”.
La “domanda fondamentale” di Fromm è infatti: “Qual è lo scopo della vita: diventare più umani o produrre di più?” (da: “Il coraggio di essere” - E. Fromm).
Il mio invito è quindi quello di dedicare qualche minuto della nostra esistenza a riflettere su questa domanda finale. Forse allora i nostri aminoacidi e il nostro RNA ce ne saranno grati per sempre.

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