anna de blasiLa Pasqua è appena trascorsa e come sempre ha lasciato dentro me un “non so che” di malinconico. Quel “non so che” che si fonde, romanticamente, con tutte le mie nostalgie. Con tutte le innumerevoli versioni di me stessa. Noi siamo i nostri ricordi ed i nostri rituali, tutti.

Da bambina la Pasqua era l’uovo e l’attesa della sorpresa, sempre un po’ deludente, forse perché nell’attesa c’è sempre troppa enfasi… La Pasqua era un rito: la processione del Venerdì Santo, la passeggiata con le amiche, e poi il Lunedì di pasquetta puntualmente in campagna, con genitori e nonni. E niente ha avuto mai il sapore di quelle patate fritte, il calore di quella casetta composta da una sola stanza, il gusto un po’ retro di tempi andati. E poi, come tutti, sono cresciuta. La campagna dell’infanzia è stata sostituita dalle campagne con amici, fra birre e salsicce, e risate argentine. Il Venerdì Santo ,nonostante il mio non essere credente, è rimasto. Come rito della mia comunità. Come radici. Come ricordo. Nel momento in cui scrivo, in quel di Milano, lontana dall’infanzia, dalle campagne abitate, dai miei amici, dai giri in bici con mio fratello, da mio padre sempre così pronto a far festa, e da mia madre e la sua dolcezza, e dai nonni accoglienti, c’è il sole. Dopo innumerevoli giorni di pioggia. Ginevra sorride, divertita da tutto, eternamente meravigliata dal mondo e dal suo farsi. Ritmi lenti sostituiscono la frenesia di pasquette andate. E nei suoi occhioni passato e presente si fondono, e tutto ancora una volta ricomincia. Non ci sono vaste campagne, ma quegli spazi aperti sono ugualmente dentro me. Non ho progetti. Ma c’è il sole, che mi scalda. E forse una passeggiata nel parco ed un gelato nel pomeriggio potremo concedercelo. Noi tre. Assieme. Perdendoci in tutte le promesse di futuro che attraversano due splendidi occhioni grigi, in cui si ritrovano tutte le andate ed i ritorni, in cui la mia anima ritrova ristoro e meraviglia. Buona scampagnata, buona pasquetta, a tutti.

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