Navanteri
Bisogna riconoscere che la costruzione del Partito Democratico in Italia è stata un vero e proprio atto di coraggio.
Esso, a seguito di un lento e travagliato percorso, è nato dall'incontro di due grandi tradizioni politiche, di due culture profonde, riconducibili da un lato all'esperienza del “Partito Comunista Italiano” ed dall'altro a quella “area Dossettiana” della “Democrazia cristiana”, che si sono messe in gioco per confluire in un soggetto nuovo che “intende contribuire a costruire e consolidare, in Europa e nel mondo, un ampio campo riformista, europeista e di centrosinistra, operando in un rapporto organico con le principali forze socialiste, democratiche e progressiste e promuovendone l’azione comune” (Vedi Manifesto dei Valori PD approvato il 16.02.2008).

Come auspicato da Michele Salvati, Nicola Rossi ed altri intellettuali, il Partito Democratico ha il compito di riunire tutte le correnti riformistiche moderate della storia italiana. Certamente una novità assoluta!!!
Ebbene, su questi ambiziosi presupposti è nato il PD con una prospettiva esaltante ed originale.
Eppure, la storia, fino ad oggi, ha ridimensionato (se non azzerato) la portata di tale innovazione politico-culturale, atteso che quest'ultimo, pur rappresentando il partito più giovane ovvero di più recente costituzione, appare un soggetto già vecchio ed obsoleto.
Difatti, proprio in questi giorni di evidente crisi del Governo Berlusconi, per le accuse infamanti mosse dalla magistratura milanese, risalta, altresì, l'imbarazzante smarrimento del PD, che non riesce – stando ai sondaggi più credibili – ad intercettare ed accrescere la propria area di consenso, nonostante il notevole discredito che ha, appunto, investito il Presidente del Consiglio.
Quali sono le ragioni di tale malessere?
Perché la principale forza politica dell’opposizione non riesce a trarre vantaggio dall'affievolimento di credibilità e di autorevolezza del Premier, come avviene, regolarmente, negli altri stati democratici occidentali che si trovano nelle medesime situazioni?
Perché in altre parole il Partito Democratico non decolla?
Probabilmente, perché il PD risulta affetto da un peccato originale: vale a dire esso sarebbe il risultato ovvero la sintesi di culture politiche chiaramente alternative (se non addirittura in contrasto) a quella democratica come valutano molti scettici o diffidenti (compreso chi scrive).
Pertanto, è errato ritenere che la crisi del PD, come molti sostengono, sia esclusivamente strategica, ma, al contrario, risulta, assai, più profonda e complessa.
Comunque e certamente il suo stallo politico è, piuttosto, ascrivibile a mere ragioni di cultura politica.
Gli iscritti (o simpatizzanti) del PD, dovrebbero interrogarsi, seriamente, su che cos’è la sinistra italiana oggi?
Quali sono le sue radici culturali ovvero il suo radicamento nella società? Senza un seria riflessione ed un autentico chiarimento, intorno a questi punti nodali, sarà improbabile che l’Italia possa avere un'opposizione o forza di governo credibile nel prossimo futuro.
Ma il problema non è di facile soluzione!!! L'attuale debolezza culturale della sinistra è strutturale. E' di tutta evidenza la sussistenza di una profonda crisi di identità del concetto stesso di sinistra, una crisi culturale che abbatte chiunque oggi faccia il segretario del Partito democratico.
Come ha sostenuto, causticamente, Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera: «non è la sovrastruttura “Veltroni”, o un domani la sovrastruttura “Bersani”, che entra in crisi: è la struttura stessa che non regge».
Il vero collante del neo-partito è l’anti-berlusconismo, che rappresenta un elemento meramente identitario, giammai, culturale.
Non può reggersi una cultura politica su ragioni, esclusivamente, personalistiche.
Non è plausibile un partito che pone a base della sua essenza “l'essere contro”, peraltro, contro una persona, e nemmeno contro ciò che quella persona politicamente rappresenta.
Allo stato attuale, il PD sembra un partito culturalmente inesistente!!!
Orfana dell'Unione Sovietica, la sinistra italiana non ha rappresentato più granché se non nulla: non è diventata socialdemocratica, né tanto meno liberale, e per giunta ha finito di essere comunista.
Epperò cosa sia adesso, nessuno è in grado di saperlo. La base del partito è frastornata, confusa ed incerta.
Tutto ciò si riflette sulla dirigenza che trova grande difficoltà nel dare vita ad una linea chiara, univoca, netta, ma tiene una posizione ondivaga, contraddittoria e vaga (vedi dichiarazioni on.le Serracchiani congresso).
In particolare, non sono comprensibili né intuibili, tuttora, gli obiettivi programmatici di un partito, il quale avrebbe dovuto fungere da soggetto di superamento dall’aspro contrasto ideologico del ‘secolo breve’, e deve ancora decidere la propria natura e la funzione in un contesto sociale – come quello attuale – complesso, articolato e dinamico, come in nessun’altra epoca precedente.
Il PD preferisce difendere gli operai della Fiom o condividere le idee di Marchionne oppure ipotizza una radicale riforma del mercato del lavoro, tentando una mediazione tra i sacrosanti diritti dei lavoratori e le esigenze della produzione e della redditività delle aziende?
Il neo-partito è disposto ad avviare un ridimensionamento dello stato sociale, un allargamento del mercato, attraverso una liberalizzazione dei servizi?
Esso si rivolge ai lavoratori dipendenti e ai pensionati o individua negli artigiani, nei commercianti e, in generale, nei lavoratori autonomi la nuova base sociale di consenso?
Le sue posizioni, in materia di bioetica, matrimonio, unioni di fatto, diritti degli omosessuali sono autenticamente laiche o pagano un tributo alla tradizione del confessionalismo di derivazione democristiana?
Il Partito è consapevole della necessità di modernizzare il paese attraverso la realizzazione di grandi opere ed infrastrutture che ormai sono visibilmente antiquate?
Il PD deve assomigliare organizzativamente a quello americano vale a dire un cartello elettorale a vocazione maggioritaria – come lo vorrebbe Veltroni – oppure al tradizionale partito più simile a quelli della I Repubblica, capace di dialogare con alleati, di dimensioni elettorali minori, ma preziosi per sconfiggere l’avversario di turno, come lo vorrebbe D’Alema?
L’attuale dirigenza democratica, pare che lavori alla formazione di un governo di ‘salute pubblica’, programmando di fare inevitabili concessioni in materia di federalismo alla Lega, oppure intende andare al voto, rinviando alla prossima legislatura qualsiasi verosimile e non dannosa riforma federalistica dello Stato?
Al momento su tali questioni nessuno si esprime.
L'unica messaggio certo del PD, come base di un'alternativa politica è: “votate noi, che cacciamo Berlusconi”. Tutto ciò è inaccettabile!!
Quindi, nessuna questione de qua potrà risolversi se non verrà trattato, seriamente, il nodo culturale appena accennato.
D'Alema, Bersani, Veltroni, Chiamparino, Cacciari, Letta, Fioroni, Renzi, Bindi, Serracchiani tutti nomi di grande stima e considerazione, però, al momento deve ritenersi secondario chi fra questi personaggi politici assumerà l’onere di rappresentare il partito alle prossime elezioni, ma colui che avrà il coraggio di affrontare la costruzione di una chiara identità politico-ideale all'interno di una cornice di valori culturali propri di una sinistra moderna e responsabile.
Pertanto, non è più procrastinabile la realizzazione di un'opposizione forte ed innovativa, che offra al paese un’alternativa programmatica, un progetto concreto ovvero un'idea credibile ed aderente alle cose reali.
Allo stato nulla fa sperare per il meglio!!!
In realtà, il PD non riesce a discutere e confrontarsi di niente per timore di non trovarsi d'accordo su nulla.
Tale condizione neutralizza la nascita di un leader, necessario ed indispensabile in un sistema politico maggioritario e bipolare.
Difatti, l'assenza totale di dibattito e, di conseguenza, di lotta politica interna, intesa come discussione, scontro dialettico di contrapposte opzioni programmatiche, rende impossibile la nascita di un vero leader, inteso come una persona in grado di prendere decisioni vincolanti per tutti, perché titolare di un consenso non da contrattare ogni volta con una continua ricerca di compromessi.
Nel PD al posto di un capo, invece, esiste un’oligarchia pletorica, sganciata da ogni responsabilità, immutabile, dove si entra solo e non si esce mai, dove tutti, a turno, prendono tutte le posizioni o quasi, madre di un sostanziale immobilismo punteggiato da continui compromessi.
Un meccanismo del genere paralizza ogni forma o tentativo di prevalere a chi abbia voglia e capacità.
Il PD appare piuttosto il vivaio inevitabile della mediocrità!!!
Pertanto è auspicabile, immediatamente, rimuovere le anzidette anomalie, altrimenti, il PD è destinato alla rovina e tale situazione è dannosa per il paese.

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