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simonetti 2L'attuale situazione internazionale, contraddistinta dalla sussistenza di numerosi focolai di guerra nelle più disparate aree del pianeta (Africa – Euroasia – Medioriente - America Meridionale), ha decretato il fallimento definitivo della politica estera dell'Amministrazione Obama. La rinuncia alla precedente “strategia Neocon” (intervento preventivo), in favore della dottrina "Don't do stupid stuff" (non fare stupidaggini), si è rivelata altrettanto insoddisfacente ed inefficace rispetto la complessità delle problematiche internazionali.

Bnl

Lo stesso Presidente americano ha ammesso con grande onestà che gli strumenti tradizionali della diplomazia si presentano insufficienti per la risoluzione delle crisi in atto, la cui radicalizzazione delle posizioni sfocia nell'uso indiscriminato delle armi, nonché nelle violenze più atroci e brutalità orribili (Balcani – Uganda - Isis).
In tale contesto, la guerra è ritornata la vera protagonista della nostra epoca!!!
Invero, negli ultimi vent'anni suppergiù si è verificato un processo di moltiplicazione dei conflitti che ha falciato la vita di 7 milioni di persone, oltre a lasciare in assoluta povertà e disperazione circa 50 milioni di profughi. A ben guardare la mappa del pianeta, è più la porzione di mondo in guerra che non quella in pace. Si contano circa quaranta conflitti in corso (Libia – Somalia - Sud Sudan - Darfur – Iraq – Siria - Afghanistan – Yemen, ecc.) più una decina di situazioni limite, per un totale di circa 50 aree della terra in allarme rosso. Dei 193 paesi membri dell'Onu, uno su cinque è in conflitto. Come ha sostenuto, fondatamente, Papa Francesco “siamo di fronte ad un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti”.
Pertanto, altro che “fine della storia” (Vedi teoria Francis Fukuyama)!!!
Si è spenta, al contrario, l’illusione che il mondo si stesse avviando verso un periodo di progressiva pacificazione e sicurezza, attraverso la diffusione delle democrazie liberali ed il capitalismo economico, archiviando la guerra come strumento, ormai, “obsoleto”.
Ma tutto ciò non è avvenuto!

Eppure, puntare l'indice, solamente, contro l'operato della comunità internazionale risulterebbe fuorviante, come, altrettanto semplicistico, apparirebbe scaricare ogni responsabilità sull'immobilismo, sull'impotenza e sull'assenza di strategia da parte delle potenze e dei governi a gestire le aree di crisi.
In questo momento storico, effettivamente, le cancellerie delle diverse nazioni navigano a vista, trovando una serie di difficoltà ad intervenire o reagire all'attuale stato di disordine Globale.
Ma quali sono le ragioni di tale impotenza?
Probabilmente tutto ciò deriva dal fatto che mentre il mondo è cambiato, la comunità internazionale si è ostinata (e tuttora si ostina) ad adoperare vecchi strumenti, muovendosi secondo logiche anacronistiche e superate.
In effetti, alla caduta dell'Urss non è seguito il trionfo degli Stati Uniti, né delle democrazie liberali capitalistiche, ma, viceversa, sono emersi i limiti e le contraddizioni di quel tipo di sistema. Sebbene gli Usa rimangono il paese più potente della terra, non hanno avuto, comunque, la forza di assumere il ruolo di “poliziotto mondiale” che può risolvere tutte le crisi che emergono nelle diverse parti del globo.
Pertanto, accanto alla Super potenza Statunitense, sono venute ad emergere potenze con proiezione Globale (Eurogermania, Cina, Russia, Brasile, India) e diverse potenze regionali (Messico, Giappone, Corea del Sud, Nigeria, Sud Africa) che hanno dato vita ad un assetto multipolare e policentrico, costituendo un importante cambiamento nello scenario internazionale, oltre che segnare il tramonto di quell'egemonia occidentale che aveva caratterizzato la storia mondiale negli ultimi secoli.
Il processo di trasformazione del sistema internazionale da bipolare a multipolare è coinciso, tra l'altro, con l'avvento della globalizzazione, che ha rivoluzionato il mondo, facendo saltare tutti gli equilibri esistenti dal punto vista economico, culturale, sociale e politico.
Non vi è chi non vede che il processo di globalizzazione ha ridimensionato la natura ed il ruolo degli stati nazionali, i quali hanno dovuto lasciare il passo ai nuovi soggetti come le multinazionali o gli imperi economici-finanziari transnazionali. Da quest'ultimi, i veri attori protagonisti della nuova geografia internazionale, i governi vengono condizionati (e spesso osteggiati) nelle decisioni, determinando scelte contraddittorie e spesso controproducenti (vedi Iraq). Da ciò deriva che il nuovo governo del mondo, gestito ormai da questo binomio, non ha punti di riferimento, né identità statuale, né edifici identificabili come “palazzi di potere”, ma soprattutto non ha coscienza di sé e delle proprie devastanti e irreversibile potenzialità, avendo abbandonato i principi essenziali della convivenza civile e della forma di stato, puntando tutto sulla soddisfazione dei propri interessi strategici.
E' di tutta evidenza che in un contesto di totale anarchia e caos, come quella in atto, prevarranno, sempre e comunque, gli interessi particolari dei più forti a discapito di quelli generali dei popoli.
Per tali motivi sarebbe auspicabile, per ovviare a tale catastrofica situazione, una profonda riforma delle istituzioni mondiali, avviando la costruzione di una governance internazionale (sistema delle Nazioni Unite e architettura economico-finanziaria internazionale) ovvero con l’istituzione di una autorità politica mondiale. Si tratterebbe di un passo fondamentale per garantire lo sviluppo integrale di tutti i popoli e la collaborazione internazionale.
Tuttavia la predetta riforma è lontana.
Per cui se vogliamo la pace prepariamoci a fare la guerra (George Washington).

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