Nel Bel Paese i riformatori non hanno mai avuto grande fortuna. Finora ogni tentativo di innovare l'assetto istituzionale-politico-economico e sociale è naufragato irrimediabilmente. Fanno parte, ormai, della memoria storica il Partito d'Azione e quello Radicale. La stagione delle grandi riforme, avviate dal Psi alla fine degli anni 70, ha avuto un epilogo drammatico con l'esplosione del bubbone giudiziario di Tangentopoli e la triste fine di Craxi, esiliato ad Hammamet.
Medesima sorte ha avuto l'avventura politica del Cavaliere, facendo sognare gli italiani con la promessa dell'avvento della “rivoluzione liberale”, ma che si è conclusa, indegnamente, con il proprio affidamento in prova ai servizi sociali di Cesano Boscone. Mentre il tavolo della Bicamerale ha tagliato le ali a “Baffino di Ferro”. Invece, la stagione referendaria ha relegato nell'oblio della storia Mariotto Segni e Achille Occhetto. Altrettanto ingloriose si sono rivelate le aspettative federaliste-secessioniste di Umberto Bossi e della sua ciurma populista.
Pertanto, colui che tocca il tasto delle riforme o si spende per esse, immancabilmente, in Italia , alla fine, cade in disgrazia!
Di tale fenomeno italico deve riflettere seriamente l'attuale Premier, il quale nella veste di “rottamatore” ha avuto in mano il paese, mentre in quella di “riformatore” se l'è visto scendere in piazza contro egli stesso. Perché?
Il cittadino italiano non tollera i cambiamenti. Non ama lo Stato, anzi, al contrario, ne soffre l'esistenza, le regole, le istituzioni, poiché esse limitano il proprio “particulare “(Vedi Guicciardini), inteso come “calcolo aritmetico” dei propri interessi individuali (Francesco De Sanctis).
Perciò, ogni cambiamento è avvertito come una minaccia, un tentativo pericoloso di modificare (o spesso ridimensionare) il proprio Status ovvero il rapporto (peraltro già squilibrato) tra il potere statuale e l'individualismo anarco-eversivo italico che recluta, attraverso le molteplici organizzazioni, corporazioni e sigle, milioni di individui per combattere e stoppare ogni azione riformatrice.
Tale stato di cose, evidentemente, non può che determinare alla lunga un collasso del sistema. Ma all'italiano non importa. E' slegato da ogni forma o senso di appartenenza di un'identità sovra-individuale.
Per questo motivo, nello stivale, riforme vere non si faranno. Saranno altri soggetti esterni (Troika - Fondo Monetario – Comunità Europea) che le realizzeranno ovvero, piuttosto, le imporranno.
Ma non c'è niente di cui preoccuparsi: l'Italia formalmente resterà uno stato sovrano, autonomo ed indipendente, mentre sostanzialmente tornerà nuovamente ad essere un'espressione geografica, luogo del Grand Tour dei cittadini europei.
In attesa, mi domando: perché noi tutti non ce la godiamo? Sperimentiamo la ricetta politica di Cetto La Qualunque: “chiu Pilu pi tutti”. Secondo me sarà una riforma che dovrebbe funzionare!!!