Nonostante siano trascorsi dieci anni dall'attentato contro il Pentagono e le “Twin Towers” del World Trade Center di New York, tuttora, viva resta l'immagine delle fumanti torri gemelle ed il loro terrificante crollo sotto gli occhi increduli e smarriti dei newyorkesi e del mondo.
Rimarranno sempre scolpite dentro di noi quelle immagini strazianti. Non si riuscirà a cancellare dalla nostra memoria la scritta «America under attack» che la Cnn ha scelto come titolo della più spaventosa tragedia dei nostri tempi.
Tutti quanti, quel giorno (tranne qualche rara eccezione), sommersi da una profonda commozione, nonché da un'evidente contrarietà avverso il vile ed orrendo atto terroristico, ci siamo sentiti americani, partecipando con sincerità al dolore che aveva colpito i nostri amici ed alleati dell'oltre Atlantico.
L'undici settembre 2001 l'impero americano è stato trafitto al cuore!!!
E' apparso subito chiaro che si era di fronte non solo a un evento importante, ma certamente ad uno sconvolgimento storico, ad una rottura violenta degli equilibri internazionali dalle conseguenze indefinite ed imprecisate. Nulla sarebbe stato più come prima!!!
Con il crollo delle torri si è concluso il Novecento. Si è arrestata ovvero è stata messa in discussione quell’idea ottimistica della globalizzazione, fiduciosa nel progresso umano, ed è iniziata un’altra storia, fatta di inquietudine, insicurezza e soprattutto paura.
I fatti dell'undici settembre hanno generato uno stravolgimento categoriale della politica moderna, che non si è prodotta in un giorno, ma che in quel giorno è precipitato e ha assunto visibilità.
La reazione americana al terrorismo islamico ha formalizzato di fatto lo “scontro tra civiltà”, acuendo le tensioni, alimentando conflitti in molteplici regioni di confine, innalzando i muri della diffidenza e dell'odio tra i popoli.
L'unilateralismo statunitense, nonché lo sconsiderato corollario della “guerra preventiva” hanno generato le guerre in Afghanistan e in Iraq, non producendo alcun risultato concreto contro Al Quaeda, ma soltanto 137mila civili morti in Iraq e in Afghanistan, 1,8 milioni di rifugiati e 1,7 milioni di sfollati solo tra iracheni, nonché qualche prezioso “beneficio” di natura economico-strategica nel controllo dei siti energetici da parte di qualche multinazionale texana.
Le lancette del progresso, dei rapporti internazionali, della storia dei popoli sono state bloccate!!
Dopo l'ignobile attentato, gli Stati Uniti d'America, patria della democrazia, delle libertà, dell'accoglienza, della tolleranza, del multiculturalismo, ha offerto il peggio di sé, non soltanto “limitando” i diritti civili dei cittadini in nome della sicurezza della Nazione, ma ha, altresì, calpestato i più elementari diritti dell'uomo (Vedi Guantanamo), infangando la propria storia e gli insegnamenti dei padri costituenti.
Come ha detto Paul Krugman nel libro “la deriva americana” tutto è girato storto!!! Il Bilancio dell'ultimo decennio è senz'altro negativo.
Da unica superpotenza mondiale, la nazione a stelle e strisce (Stati Uniti) ha subito un evidente processo di ridimensionamento del proprio ruolo, non tenendo il passo con i paesi emergenti come Cina ed India.
Deficit e disoccupazione, le due maggiori piaghe, sono il prezzo delle guerre in Afghanistan e in Iraq.
Difatti, “L’aumento della spesa per la difesa è la ragione principale per cui l’America è passata da un surplus del 2% del Pil, all’epoca dell’elezione di Bush, alla pericolosa situazione attuale di deficit e debito pubblico. La spesa diretta per quelle guerre ammonta a circa 2mila miliardi di dollari – 17mila dollari sulle spalle di ogni famiglia americana – senza considerare i conti ancora da presentare, che fanno crescere questa cifra di oltre il 50%” (vedi articolo Joseph E. Stiglitz).
La lotta al terrorismo globale ha rappresentato “la prima guerra nella storia pagata interamente a credito”. A ciò deve aggiungersi l'indebolimento del paese con gli opinabili tagli alle tasse del 2001, che la Us Federal Reserve ha poi nascosto, artatamente, costruendo una bolla economica di cui si è avuta contezza con la crisi finanziaria del 2008.
Tuttavia, la svolta politica avuta con l'elezione di Barak Obama, certamente con tutte le difficoltà e contraddizioni, fa ben sperare per il futuro.
Il popolo americano, dopo una fase di paura, di terrore, di chiusura e di egoismo, ha dimostrato di rientrare in se stesso, consapevole della sua storia, del suo ruolo primario, della sua forza, delle sue virtù e dei suoi valori democratici, i quali prevarranno contro la sub-cultura dell'odio, della violenza e dell'inimicizia.
Con la vittoria del Presidente "abbronzato", come ebbe a definirlo Berlusconi, viene sconfitta definitivamente la politica conservatrice neocon. Il popolo americano abbraccia, nuovamente la politica di amicizia e collaborazione internazionale tra gli stati. Avvia un piano di ricostruzione interna, basata su quei principi e valori costituzionali affievoliti durante l'amministrazione Bush.
Ecco perché punto sulla nazione statunitense. Essa, nonostante tutto, ha scelto di percorrere la strada della costruzione condivisa, respingendo con fermezza ogni forma di cultura nichilistica.