Consultando un qualsiasi vocabolario della lingua italiana alla voce “conurbazione”, viene spiegato che trattasi di «un’area urbana comprendente due o più paesi/città che attraverso la crescita della popolazione e l'espansione urbana, si sono fisicamente uniti formando un’area edificata senza soluzione di continuità».
Ultimamente i due sindaci di Spezzano Albanese e San Lorenzo del Vallo, prendendo atto che fra i due comuni si è di fatto concretizzata una conurbazione, hanno espresso pubblicamente l’idea di unificare i due paesi realizzando una sola amministrazione dando luogo, quindi, ad una fusione anche amministrativa, giuridica e politica.
Purtroppo, le tensioni che nel corso dell’anno appena concluso hanno agitato le acque all’interno dell’amministrazione Cucci, dovute a tutt’altri motivi, non hanno permesso al suo primo cittadino del centro arbëreshë, (assorbito dal problema della ricostituzione ex novo della giunta di governo), di interessarsi più di tanto a questo tema, come ad altri problemi sicuramente più impellenti. Una iniziativa, questa della conurbazione, che pure è stata enunciata in sintonia col sindaco di San Lorenzo, non certo, almeno crediamo, per motivi di facciata, ma principalmente come effettiva volontà politica di dare corso ad un provvedimento che segnerebbe un nuovo percorso nella storia dei due comuni. In attesa dell’apertura di un proficuo dibattito, diciamo la nostra, che serve anche per saggiare la posizione dei tanti altri esponenti della cultura, della politica, dell’economia, che potrebbero dare un valido contributo di idee, indispensabile per la realizzazione di un progetto politico dai tanti risvolti di carattere amministrativo che andrebbe ad incidere sugli aspetti sociali, economici, relazionali fra i due comuni. Un’operazione indubbiamente lunga e burocraticamente tortuosa che si concluderebbe, giocoforza, con la ridenominazione ex novo del centro abitato sorto dall’unificazione.
La conurbazione, se attuata, recepirebbe a livello formale una realtà consolidata con la quale quotidianamente i cittadini dei due paesi, (sulla carta limitrofi, ma di fatto gia unificati), si confrontano positivamente. Gli scambi economici, sociali, culturali e di gestione del territorio fra le due amministrazioni e le rispettive comunità sono una realtà ormai imprescindibile. L’unione dei due comuni creerebbe, pertanto, un’unica realtà amministrativa prossima agli undici mila abitanti, apportando significativi vantaggi in tutti i settori.
Sparirebbero tante incongruenze lamentate in questi ultimi tempi, relative, per esempio, al trasporto degli alunni nelle diverse scuole, al conferimento dei rifiuti solidi urbani in cassonetti posti nelle immediate vicinanze dell’area di confine. all’utilizzo della rete fognaria che segue le pendenze naturali più opportune, indipendentemente dai confini territoriali. Una miriade di discrepanze troverebbe una più razionale soluzione, quali le direttive comunali sugli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali o dei turni delle farmacie e quant’altro, ma anche problemi più rilevanti come quelli attinenti il sistema di pagamento unificato di tasse e tributi (acqua, spazzatura, Ici, etc.), da parte di tanti cittadini oggi legati a parametri diversi a seconda se abitano sul lato destro piuttosto che in quello sinistro della stessa strada e viceversa. E, non ultimo, emergerebbe sicuramente la necessità di adottare un nuovo piano regolatore generale per il rilancio di un’edilizia a misura d’uomo individuando nuove aree da destinare allo sviluppo industriale e artigianale, oltre ad un indispensabile piano di edilizia popolare.
Si potrebbe affrontare con una angolazione completamente diversa una sommatoria di problemi, a cominciare dall’ubicazione o meno di eventuali depuratori nell’ambito del territorio comunale, o di impianti eolici, ma anche altre problematiche che caratterizzano la vocazione del territorio verso il terziario. In questo senso siti e strutture come Torre Mordillo, Torre Scribla (o Stridola) il Castello, le Terme, ma anche la torre di Jentilino in territorio della frazione Fedula, potrebbero finalmente decollare, essendo tutte realtà capaci di offrire una immagine inedita di un territorio ricco di potenzialità economiche, culturali, turistiche, sanitarie di prim’ordine che aspettano da sempre una rivalutazione autentica e concorrenziale nei confronti di analoghe realtà sparse lungo tutto il territorio nazionale.
E poi, per dirla tutta, si tratterebbe di porre la parola fine ad un passato, oggi peraltro di fatto definitivamente morto e sepolto, che ha visto gli abitanti di San Lorenzo e Spezzano l’un contro l’altro armati nel corso della plurisecolare loro storia di “vicini di casa” sempre pronti a imbeccarsi come i polli di Renzo e Lucia. Vicini di casa entrambi gelosi ed orgogliosi delle proprie specificità che non hanno impedito ieri ai sanlorenzani di assorbire lingua, usi e costumi arbëreshë (San Lorenzo del Vallo è regolarmente catalogato come comune di origini albanesi sebbene preesistente di molto rispetto alle migrazioni storiche di questo popolo) e oggi agli spezzanesi di andare a fare la spesa a San Lorenzo, semplicemente passando sulle strisce pedonali.
Volendo scavare un poco nel passato storico, infatti, si riscopre quello che in molti già sanno: San Lorenzo del Vallo e Spezzano Albanese condividono un passato in parte comune fin da quando molti dei profughi sbarcati in Calabria fra il 1461 e il 1470 (terza ondata migratoria), ai quali si aggiunsero altri transfughi in precedenza insediatisi nel casale delle Grazie, seguendo le direttive del feudatario, l’allora conte Antonio Sanseverino, andarono a ripopolare il casale di San Lorenzo quasi completamente distrutto dal rovinoso terremoto del 1456 che aveva causato la morte di quaranta mila vittime distribuite in tutta la dorsale appenninica centro meridionale.
La coabitazione fra le due etnie in epoca storica è altresì accertata da molteplici studi. Fra questi è da citare l’opuscolo del prof. Francesco Marchianò, «Spixana e le epidemie del passato – 1656 – 1918 – con appendice clinica del Dott. Angelo Mortati», edito dalla Farmacia dei Dott. Angelo ed Emma Mortati, nel 2005 per i tipi della TNT Grafica Srl. che a pag 13, negli “Approfondimenti”, recita: «…Forse si trattò di una malattia contagiosa poiché in soli due giorni perirono le tre figlie di Leonardo Mazia e Laura Amerisi – coniugi di S. Lorenzo abitanti di questo luogo di Spezzano e che vengono seppellite alla chiesa seu ospitale della Madonna di Costantinopoli». In questo periodo (1663 – ndr), molti sono gli abitanti, albanesi e calabresi, che dal casale di San Lorenzo, vengono ad abitare in quello di Spezzano, sottoposto all’amministrazione feudale degli Spinelli. Tali scelte venivano operate non solo per motivi familiari ma, soprattutto, per le diverse tassazioni che i signori imponevano ai loro sottoposti. L’esodo più massiccio avvenne nel 1572 quando il Signore Marcello Pescara impose agli albanesi di San Lorenzo, di pagare le tasse o di andarsene via da quel territorio».
La presenza di interi nuclei familiari che nel passato come nel presente mantenevano e mantengono stretti legami di parentela con gli abitanti del rispettivo comune limitrofo, fa parte di una realtà consolidata che facilita i rapporti di carattere economico e socio culturale a tutto vantaggio di una crescita complessiva che ogni giorno di più livella le due comunità i cui cittadini non sanno più tanto bene il punto di confine geografico dei due agglomerati urbani.
Segni in tal senso erano ancora riscontrabili fino a pochi anni fa nell’adozione da parte degli abitanti di San Lorenzo dei costumi, specie quelli femminili, ma ancora di più nella stipula di matrimoni “misti” che come nel passato contribuiscono al diffondersi all’interno dei rispettivi territori, di cognomi tipici delle due etnie che rimandano ad interessi allargati e a comportamenti socio culturali variegati.
La strettissima vicinanza topografica delle due comunità, originariamente distanziate da poco più di un chilometro di strada realizzata nel 1856 e oggi completamente urbanizzata, ha sempre favorito la creazione ed il mantenimento di legami di carattere familiare ed interpersonale che oggi possono rappresentare il nuovo collante per la creazione di un novo percorso unificato che parta dalle peculiarità latenti, vera risorsa inesauribile di sviluppo e di crescita.
Naturalmente, in caso di unificazione, bisogna mettere in conto la perdita di un intero consiglio comunale, sindaco e segretario comunale compresi. Poco male, si potrebbe dire, specialmente se si mette in conto che il generale rimescolamento delle carte potrebbe favorire la nascita di nuove formazioni partitiche facendo emergere una nuova classe politica, di per se stesso indice di democrazia.
L’idea dell’unione dei due comuni, lungi dall’essere peregrina, favorirebbe il confronto delle idee, accrescerebbe il livello di partecipazione e democrazia, farebbe riscoprire l’uso della lingua arbëreshë ai sanlorenzani ai quali già oggi non è del tutto ignota.
Guardando indietro nel tempo si riscopre che l’ultima volta che le due comunità restarono in disaccordo fu nell’ormai lontano 1839, quando i due Decurionati (Consigli comunali) non aderirono alle direttive del re di Napoli Ferdinando II che già nel 1828 aveva stabilito in via definitiva che le sepolture non avvenissero più all’interno delle chiese, ma nei cimiteri realizzati al di fuori dei centri abitati e unitariamente nei casi di comuni viciniori. I nostri due comuni, dopo diciannove anni di inutili trattative, decisero autonomamente destinando ad area cimiteriale i rispettivi attuali siti. Variarono solo i tempi di realizzazione e di utilizzo effettivo. Spezzano completò i lavori iniziati nel 1840 dopo otto anni. San Lorenzo deliberò nel 1847, completò i lavori nel 1848, autorizzò le prime sepolture nel 1849, ma, come scrisse lo Scorza, ancora nel 1867 si verificarono casi di sepolture fra i resti del Convento dei Riformati o fra i ruderi della vecchia chiesa parrocchiale ormai diroccata.
Oggi si ripresenta l’occasione per assumere una decisione ben più importante che ancora una volta ha a che fare con la vita e la morte, sebbene simbolica. Si tratta di decretare la morte dei due consigli comunali separati e la contemporanea nascita di un unico Civico Consesso. Ce la faranno i nostri amministratori a mettere tutto in gioco, in primis la propria poltrona, per quanto occupata “pro tempore”?
Un primo punto di incontro fra le due comunità potrebbe essere trovato nel nome da dare al nuovo agglomerato urbano. Dando per scontato che sarebbero da abbandonare entrambe le attuali denominazioni, non sarebbe male iniziare il confronto proprio da qui, coinvolgendo gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado dei due comuni a cimentarsi in questo arduo compito.
Lo scrivente ha elaborato una possibile denominazione che tiene conto delle peculiarità del territorio in maniera equa, ma, logicamente, non è il caso di farne menzione ora e in questa sede.
Purtroppo, le tensioni che nel corso dell’anno appena concluso hanno agitato le acque all’interno dell’amministrazione Cucci, dovute a tutt’altri motivi, non hanno permesso al suo primo cittadino del centro arbëreshë, (assorbito dal problema della ricostituzione ex novo della giunta di governo), di interessarsi più di tanto a questo tema, come ad altri problemi sicuramente più impellenti. Una iniziativa, questa della conurbazione, che pure è stata enunciata in sintonia col sindaco di San Lorenzo, non certo, almeno crediamo, per motivi di facciata, ma principalmente come effettiva volontà politica di dare corso ad un provvedimento che segnerebbe un nuovo percorso nella storia dei due comuni. In attesa dell’apertura di un proficuo dibattito, diciamo la nostra, che serve anche per saggiare la posizione dei tanti altri esponenti della cultura, della politica, dell’economia, che potrebbero dare un valido contributo di idee, indispensabile per la realizzazione di un progetto politico dai tanti risvolti di carattere amministrativo che andrebbe ad incidere sugli aspetti sociali, economici, relazionali fra i due comuni. Un’operazione indubbiamente lunga e burocraticamente tortuosa che si concluderebbe, giocoforza, con la ridenominazione ex novo del centro abitato sorto dall’unificazione.
La conurbazione, se attuata, recepirebbe a livello formale una realtà consolidata con la quale quotidianamente i cittadini dei due paesi, (sulla carta limitrofi, ma di fatto gia unificati), si confrontano positivamente. Gli scambi economici, sociali, culturali e di gestione del territorio fra le due amministrazioni e le rispettive comunità sono una realtà ormai imprescindibile. L’unione dei due comuni creerebbe, pertanto, un’unica realtà amministrativa prossima agli undici mila abitanti, apportando significativi vantaggi in tutti i settori.
Sparirebbero tante incongruenze lamentate in questi ultimi tempi, relative, per esempio, al trasporto degli alunni nelle diverse scuole, al conferimento dei rifiuti solidi urbani in cassonetti posti nelle immediate vicinanze dell’area di confine. all’utilizzo della rete fognaria che segue le pendenze naturali più opportune, indipendentemente dai confini territoriali. Una miriade di discrepanze troverebbe una più razionale soluzione, quali le direttive comunali sugli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali o dei turni delle farmacie e quant’altro, ma anche problemi più rilevanti come quelli attinenti il sistema di pagamento unificato di tasse e tributi (acqua, spazzatura, Ici, etc.), da parte di tanti cittadini oggi legati a parametri diversi a seconda se abitano sul lato destro piuttosto che in quello sinistro della stessa strada e viceversa. E, non ultimo, emergerebbe sicuramente la necessità di adottare un nuovo piano regolatore generale per il rilancio di un’edilizia a misura d’uomo individuando nuove aree da destinare allo sviluppo industriale e artigianale, oltre ad un indispensabile piano di edilizia popolare.
Si potrebbe affrontare con una angolazione completamente diversa una sommatoria di problemi, a cominciare dall’ubicazione o meno di eventuali depuratori nell’ambito del territorio comunale, o di impianti eolici, ma anche altre problematiche che caratterizzano la vocazione del territorio verso il terziario. In questo senso siti e strutture come Torre Mordillo, Torre Scribla (o Stridola) il Castello, le Terme, ma anche la torre di Jentilino in territorio della frazione Fedula, potrebbero finalmente decollare, essendo tutte realtà capaci di offrire una immagine inedita di un territorio ricco di potenzialità economiche, culturali, turistiche, sanitarie di prim’ordine che aspettano da sempre una rivalutazione autentica e concorrenziale nei confronti di analoghe realtà sparse lungo tutto il territorio nazionale.
E poi, per dirla tutta, si tratterebbe di porre la parola fine ad un passato, oggi peraltro di fatto definitivamente morto e sepolto, che ha visto gli abitanti di San Lorenzo e Spezzano l’un contro l’altro armati nel corso della plurisecolare loro storia di “vicini di casa” sempre pronti a imbeccarsi come i polli di Renzo e Lucia. Vicini di casa entrambi gelosi ed orgogliosi delle proprie specificità che non hanno impedito ieri ai sanlorenzani di assorbire lingua, usi e costumi arbëreshë (San Lorenzo del Vallo è regolarmente catalogato come comune di origini albanesi sebbene preesistente di molto rispetto alle migrazioni storiche di questo popolo) e oggi agli spezzanesi di andare a fare la spesa a San Lorenzo, semplicemente passando sulle strisce pedonali.
Volendo scavare un poco nel passato storico, infatti, si riscopre quello che in molti già sanno: San Lorenzo del Vallo e Spezzano Albanese condividono un passato in parte comune fin da quando molti dei profughi sbarcati in Calabria fra il 1461 e il 1470 (terza ondata migratoria), ai quali si aggiunsero altri transfughi in precedenza insediatisi nel casale delle Grazie, seguendo le direttive del feudatario, l’allora conte Antonio Sanseverino, andarono a ripopolare il casale di San Lorenzo quasi completamente distrutto dal rovinoso terremoto del 1456 che aveva causato la morte di quaranta mila vittime distribuite in tutta la dorsale appenninica centro meridionale.
La coabitazione fra le due etnie in epoca storica è altresì accertata da molteplici studi. Fra questi è da citare l’opuscolo del prof. Francesco Marchianò, «Spixana e le epidemie del passato – 1656 – 1918 – con appendice clinica del Dott. Angelo Mortati», edito dalla Farmacia dei Dott. Angelo ed Emma Mortati, nel 2005 per i tipi della TNT Grafica Srl. che a pag 13, negli “Approfondimenti”, recita: «…Forse si trattò di una malattia contagiosa poiché in soli due giorni perirono le tre figlie di Leonardo Mazia e Laura Amerisi – coniugi di S. Lorenzo abitanti di questo luogo di Spezzano e che vengono seppellite alla chiesa seu ospitale della Madonna di Costantinopoli». In questo periodo (1663 – ndr), molti sono gli abitanti, albanesi e calabresi, che dal casale di San Lorenzo, vengono ad abitare in quello di Spezzano, sottoposto all’amministrazione feudale degli Spinelli. Tali scelte venivano operate non solo per motivi familiari ma, soprattutto, per le diverse tassazioni che i signori imponevano ai loro sottoposti. L’esodo più massiccio avvenne nel 1572 quando il Signore Marcello Pescara impose agli albanesi di San Lorenzo, di pagare le tasse o di andarsene via da quel territorio».
La presenza di interi nuclei familiari che nel passato come nel presente mantenevano e mantengono stretti legami di parentela con gli abitanti del rispettivo comune limitrofo, fa parte di una realtà consolidata che facilita i rapporti di carattere economico e socio culturale a tutto vantaggio di una crescita complessiva che ogni giorno di più livella le due comunità i cui cittadini non sanno più tanto bene il punto di confine geografico dei due agglomerati urbani.
Segni in tal senso erano ancora riscontrabili fino a pochi anni fa nell’adozione da parte degli abitanti di San Lorenzo dei costumi, specie quelli femminili, ma ancora di più nella stipula di matrimoni “misti” che come nel passato contribuiscono al diffondersi all’interno dei rispettivi territori, di cognomi tipici delle due etnie che rimandano ad interessi allargati e a comportamenti socio culturali variegati.
La strettissima vicinanza topografica delle due comunità, originariamente distanziate da poco più di un chilometro di strada realizzata nel 1856 e oggi completamente urbanizzata, ha sempre favorito la creazione ed il mantenimento di legami di carattere familiare ed interpersonale che oggi possono rappresentare il nuovo collante per la creazione di un novo percorso unificato che parta dalle peculiarità latenti, vera risorsa inesauribile di sviluppo e di crescita.
Naturalmente, in caso di unificazione, bisogna mettere in conto la perdita di un intero consiglio comunale, sindaco e segretario comunale compresi. Poco male, si potrebbe dire, specialmente se si mette in conto che il generale rimescolamento delle carte potrebbe favorire la nascita di nuove formazioni partitiche facendo emergere una nuova classe politica, di per se stesso indice di democrazia.
L’idea dell’unione dei due comuni, lungi dall’essere peregrina, favorirebbe il confronto delle idee, accrescerebbe il livello di partecipazione e democrazia, farebbe riscoprire l’uso della lingua arbëreshë ai sanlorenzani ai quali già oggi non è del tutto ignota.
Guardando indietro nel tempo si riscopre che l’ultima volta che le due comunità restarono in disaccordo fu nell’ormai lontano 1839, quando i due Decurionati (Consigli comunali) non aderirono alle direttive del re di Napoli Ferdinando II che già nel 1828 aveva stabilito in via definitiva che le sepolture non avvenissero più all’interno delle chiese, ma nei cimiteri realizzati al di fuori dei centri abitati e unitariamente nei casi di comuni viciniori. I nostri due comuni, dopo diciannove anni di inutili trattative, decisero autonomamente destinando ad area cimiteriale i rispettivi attuali siti. Variarono solo i tempi di realizzazione e di utilizzo effettivo. Spezzano completò i lavori iniziati nel 1840 dopo otto anni. San Lorenzo deliberò nel 1847, completò i lavori nel 1848, autorizzò le prime sepolture nel 1849, ma, come scrisse lo Scorza, ancora nel 1867 si verificarono casi di sepolture fra i resti del Convento dei Riformati o fra i ruderi della vecchia chiesa parrocchiale ormai diroccata.
Oggi si ripresenta l’occasione per assumere una decisione ben più importante che ancora una volta ha a che fare con la vita e la morte, sebbene simbolica. Si tratta di decretare la morte dei due consigli comunali separati e la contemporanea nascita di un unico Civico Consesso. Ce la faranno i nostri amministratori a mettere tutto in gioco, in primis la propria poltrona, per quanto occupata “pro tempore”?
Un primo punto di incontro fra le due comunità potrebbe essere trovato nel nome da dare al nuovo agglomerato urbano. Dando per scontato che sarebbero da abbandonare entrambe le attuali denominazioni, non sarebbe male iniziare il confronto proprio da qui, coinvolgendo gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado dei due comuni a cimentarsi in questo arduo compito.
Lo scrivente ha elaborato una possibile denominazione che tiene conto delle peculiarità del territorio in maniera equa, ma, logicamente, non è il caso di farne menzione ora e in questa sede.