L’istituzione delle regioni come realtà politico-amministrative autonome, già prevista dalla carta costituzionale, si realizzò alfine solo nel 1970. L’intento era quello di favorire l’aderenza della politica al territorio italiano, fortemente variegato sia dal punto di vista orografico, ma anche storico, culturale, sociale, tale da richiamare ancora dopo 87 anni dall’unificazione (leggi “piemontesizzazione”), l’assunto attribuito a Massimo d’Azeglio che nel 1861 poneva l’accento sulla necessità di “fare gli italiani”, dopo aver “fatto l’Italia”.
Dal 1970 ad oggi, (sono trascorsi ben 40 anni), escluso il neoeletto Scopelliti, sul quale non si può dire ancora nulla, si sono avvicendati alla massima carica regionale ben 13 esponenti di vario orientamento. (Uno, Aldo Ferrara, ricoprì l’importante carica per due periodi separati).
Ecco l’elenco completo dei quattordici presidenti della Giunta Regionale che si sono avvicendati alla guida della nostra regione. Eletti dal Consiglio Regionale: – (1970/1974) Antonio Guarasci (DC) – (1974/1975) Aldo Ferrara (DC) – (1975/76) Pasquale Perugini (DC) – (1976/1980) Aldo Ferrara (DC) – (1980/1984) Bruno Dominijanni (PSI) – (1985/1987) Francesco Principe (PSI) – (1987/1991) Rosario Olivo (PSI) – (1992/1994) Guido Rhodio (DC) – (1994/1995) Donato Veraldi (PPI) – (1995/1998) Giuseppe Nisticò (FI) – (1998/1999) Giovanni Battista Caligiuri (FI) – (1999/2000) Luigi Meduri (PPI) – Eletti a suffragio universale diretto: (2000/2005) Giuseppe Chiaravalloti (CdL) – (2005/2010) Agazio Loiero – (l’Unione). Il quindicesimo, Giuseppe Scopelliti del “popolo della Libertà”, è stato appena eletto per il quinquennio 2010/2015.
Ed ecco i Presidenti del Consiglio Regionale: (1970/1973) Mario Casalinuovo – (1973/1975) Scipione Valentini – (1975/1980) Consalvo Aragona – (1980/1983) Rosario Chiriano – (1983/1993) Anton Giulio Galati – (1996/2000) Giuseppe Scopelliti – (2000/2001) Battista Caligiuri – (2001/2005) Luigi Fedele.
Pur senza voler fare del disfattismo a tutti i costi, si può certamente affermare che, al di là di qualche modesto sviluppo in qualche settore specifico dovuto più che altro alla forza trainante dell’economia globale che in questi quarant’anni ha segnato i destini del pianeta, la Calabria, e con essa tutto il meridione, segna il passo, a tal punto che, alle porte del 150 anniversario dell’unità d’Italia che verrà celebrato l’anno prossimo, tutti i problemi susseguenti l’impresa dei Mille, per quel che riguarda il Meridione, permangono inesorabilmente sul tappeto. Anzi si sono talmente accumulati che è quasi ragionevole credere che qualsiasi amministrazione, qualunque sia il colore politico, non potrà fare più di tanto, almeno nel breve periodo.
Le motivazioni di una certa sfiducia nell’istituto regionale, derivano principalmente dall’accavallarsi di norme burocratiche assurde per una società moderna che nel privato procede alla velocità della luce, ma che nel settore pubblico deve fare i conti con lacci e laccioli anacronistici, come anacronistiche sono quelle istituzioni che andrebbero abolite. In primis le province e le comunità montane. Un altro aspetto deleterio è la pletoricità degli organismi decisionali ridondanti anche nel numero dei componenti.
A questi “mali” di carattere organizzativo si aggiungono tutti i deficit di una politica spesso clientelare che fa del “do ut des” una regola ferrea a cui nulla sfugge. Se a tutto questo si aggiungono i problemi di una criminalità organizzata che non perdona, contro la quale lo Stato fatica non poco a tenere quanto meno a bada, si capisce come il progresso civile, culturale, economico, sembrano chimere di la da venire. Ogni cambio della guardia ai vertici del potere, è accompagnato da grandi speranze puntualmente deluse. Questo almeno ad oggi.
Come già detto non si tratta né di disfattismo, né di qualunquismo. Si tratta semplicemente di una presa d’atto oggettiva, la sola che può portare ad una valutazione serena della politica vista come amministrazione della “polis” per il bene di tutti (Aristotele) piuttosto che come un gioco delle parti di pirandelliana memoria, apportatrice di un astensionismo deleterio per l’intera comunità che si affida al clientelismo per ottenere ciò che non gli spetta piuttosto che pretendere la difesa dei propri diritti a viso aperto.
Diceva un adagio in auge qualche tempo fa; “Non importa se il gatto sia bianco o nero. L’importante è che acchiappi il topo”. Parafrasando si potrebbe dire che non ha molta importanza il colore politico dell’amministratore di turno, specie oggi che la rigida osservanza dell’ideologia è stata messa da parte. L’importante è che si tratti di persona che veramente voglia impegnarsi per ridare dignità alla “politica”, per realizzare il programma per cui ha chiesto il voto. Anche perché viene pagato dai contribuenti tutti abbastanza lautamente.
Su questo aspetto, e chiudo, è doloroso constatare che mentre un giovane laureato, quando trova un lavoro, per di più precario, non arriva a mille €uro al mese, un consigliere regionale, sebbene già dotato di un lavoro stabile e sicuro (considerata anche l’età anagrafica), riceve, nel caso specifico calabrese, uno stipendio mensile di €uro 11.316,00 che, in un anno, tra indennità varie, rimborsi spese e benefit si porta a casa ben 301 mila €uro. Moltiplicate voi tale cifra per un solo quinquennio di mandato e vi renderete conto dell’iperbolica cifra che si raggiunge. A questo bisogna aggiungere gli emolumenti che spettano agli assessori, fino ad arrivare al Presidente del Consiglio e della Giunta, che, nel caso della Calabria, riceve ben 13.353,00 €uro all’anno, somma ampiamente superata dal Governatore della Puglia che riceve addirittura €uro 18.885,00 all’anno. La spesa per lo Stato è di assoluto rispetto, tant’è che il costo di tutti i parlamentari regionali italiani, un esercito di 1.125 parlamentari, come risulta da un’indagine del 2007 a cura del giornalista Stefano Sansonetti pubblicata su “Italia Oggi”, raggiunge la somma di €uro 1.012.855,965. E’ pur vero che fra i tanti eletti vi sono senz’altro coloro che lavorano e si guadagnano lo stipendio che percepiscono, ma vi è comunque una discreta maggioranza che, visto anche come vanno le cose in Calabria, in quanto a lavoro, si limita ad alzare e abbassare il braccio in occasione delle votazioni concordate. Tutto ciò è, quanto meno, esempio di scarsa moralità della politica, specialmente se paragonata a quella che trasformò l’Italia nell’immediato secondo dopo guerra, da un popolo stremato dalla fame, ad una Nazione che, grazie anche agli aiuti esterni, seppe riconquistasi un posto di tutto rispetto nel consesso internazionale.
Ma la politica è fatta dagli uomini e gli uomini che si avvicendano alla ribalta del potere, cambiano. Non è quindi detto che non si possa migliorare per vedere, alfine, più giustizia e più coerenza e sempre meno ingordigia e opportunismo.