L’Italia sembra allontanarsi sempre più dal petrolio, mentre cresce l’eolico ed il solare. In media ogni italiano emette circa 7 tonnellate di CO2 l’anno e con le fonti rinnovabili nel 2007 si è arrivati a produrre il 15,7% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Una percentuale significativa, ma ottenuta principalmente con grandi impianti idroelettrici, tecnologia nella quale l’Italia ha una lunga tradizione. Fino al 1960, infatti, i 4/5 dell’elettricità italiana erano di origine idroelettrica.
Ma l’idroelettrico, come il geotermico, hanno ormai pochi margini di crescita ulteriore. Sono altre le fonti su cui si concentrano le ricerche scientifiche e su cui vengono dirottati gli investimenti per produrre elettricità pulita. In primis il vento sfruttato tramite le tipiche turbine eoliche e quindi il sole, la cui energia viene captata dai moduli fotovoltaici ma anche in avveniristiche centrali “termosolari” che producono vapore ad altissima temperatura che viene quindi utilizzata per produrre elettricità.
Nei primi otto mesi del 2008 in Italia si è prodotto col vento il 2% dell’energia elettrica nazionale. Siamo quindi lontani dalla Germania col suo 7% e ancor più dalla Spagna che arriva all’11% e dalla Danimarca che segna addirittura un 21%.
L’Europa, dove è installata più della metà della potenza eolica mondiale, nel suo complesso è leader nel settore, seguita da Stati Uniti, India e Cina. Lo sfruttamento dell’energia eolica nel vecchio continente, infatti, ha avuto uno sviluppo inaspettato, passando dai circa mille megawatt di 20 anni fa per raggiungere i 100 mila megawatt di potenza totale.nel 2008.
In Europa il vento fornisce elettricità ad almeno 30 milioni di famiglie e si stima che nel 2020 potrà garantire il 12% del fabbisogno elettrico complessivo e forse anche di più grazie alla nuova direttiva europea sull’energia, che obbligherà gli Stati membri a produrre da rinnovabili entro il 2020 almeno il 20% di tutta l’energia che si consuma al suo interno. In Europa le Nazioni più ventose sono il Regno Unito e gli Stati scandinavi. In Italia le regioni ove il vento soffia più forte sono la Sicilia e la Sardegna e quelle appenniniche del Centro Sud, regioni già di per se dotate di un forte soleggiamento che le potrebbe rendere protagoniste nella produzione di energia da fonti rinnovabili e non inquinanti.
Ma, secondo il presidente dell’European Wind Energy Association, Arthuros Zervos, “Per garantire un forte sviluppo, ci vorrebbero più attenzione da parte dei politici nazionali e regionali e meno sollevazioni pretestuose”. In Italia, infatti, lo sviluppo dell’eolico è stato spesso contrastato dall’effetto “Nimby”. (acronimo inglese che sta per “Not In My Back Yard” (“Non nel mio giardino”).
Sollevazioni pretestuose che non esistono in Germania, certamente perché - crediamo – i tedeschi (costruttori di una buona metà degli impianti eolici di tutto il mondo) stanno progettando il loro parco eolico con turbine gigantesche di dimensioni doppie rispetto a quelle convenzionali ubicate, però, in mare aperto ad una cinquantina di chilometri dalla costa, dove l’impatto ambientale è ragionevolmente ridotto.
Un altro immenso mercato in via di forte e rapida ascensione, è quello cinese, un Paese ove la domanda di elettricità aumenta di un gigawatt la settimana. E la Cina sta puntando diritto verso l’eolico per ottenere energia pulita a buon mercato. L’ambizioso progetto per il quale si spenderanno 900 miliardi di dollari, prevede il totale affrancamento dal petrolio entro il 2030 ad un costo di 7,6 centesimi di dollaro per kilowattora.
Intanto anche gli inglesi si preparano a realizzare la turbina a pale eoliche più grande del mondo, consolidando il loro primato. Il prototipo è dotato di pale da 70 metri di lunghezza e il costo complessivo del progetto che ha una ricaduta positiva anche in termini di posti di lavoro stimati nell’ordine di decine di migliaia, ruota intorno ai 6.5 milioni di sterline.
Tutto questo mentre in Italia, anacronisticamente si ripensa al nucleare, per quanto riveduto e corretto. Forse anche perché le diverse posizioni delle varie sigle ambientaliste in tema di eolico, non aiuta i politici locali e nazionali nelle loro scelte. Nel frattempo le torri eoliche spuntano qua e la come funghi secondo le posizioni degli amministratori locali spesso solo ansiosi di incassare proventi che agevolino la formazione dei relativi bilanci.
Oramai le torri eoliche si stanno diffondendo a macchia di leopardo sull’intero territorio nazionale, senza una progettazione organica. Nel solo Molise si contano 150 torri eoliche che producono 105 megawatt, mentre le torri del vento arrivano a700 in Sicilia. Si sta generando, in pratica, un autentico Far West, visto che talvolta gli impianti non sono collocati nelle località più idonee, ma piuttosto in quei comuni il cui sindaco non vuole lasciarsi sfuggire l’opportunità di percepire royalties per le casse comunali.
E gli ambientalisti, anch’essi schierati su fronti opposti non facilitano le cose. Da un lato vi sono i difensori del protocollo di Kioto(Legambiente, Greenpeace) e dall’altra quelli del paesaggio (Italia Nostra, Lipu (ma non sempre). In una posizione interlocutoria si trova il Wwf che però ultimamente ha sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Anev (Associazione Nazionale per l’energia del vento). Il dato certo è che entro il 2020 anche l’Italia deve triplicare le sue capacità di derivare l’energia da fonti rinnovabili non inquinanti.
L’eolico è sicuramente una fonte energetica pulita e rinnovabile ma può anche avere molte controindicazioni. Oltre a quelle di carattere ambientale, vanno valutate le implicazioni fiscali per i proprietari dei terreni. Costoro potranno fare i conti solo dopo aver accertato la plusvalenza fra quanto hanno incassato e quanto dovranno versare allo Stato come imposta sul reddito.