Navanteri

A Spezzano, così come in ogni altro paese della nostra realtà meridionale, il lavoro è un miraggio. Sia nel settore pubblico che in quello privato, le occasioni di assunzione si contano sulle dita di una mano e non bastano assolutamente a soddisfare le esigenze di una gioventù che mentre negli anni '50 del secolo scorso emigrava con la valigia di cartone, oggi lo fa col note-book in tasca. Le speranze e le delusioni sono le stesse.


Intanto si invecchia. Anche una sia pur misera pensione che oggi permette ai genitori di sopravvivere, diventa sempre più un miraggio per una classe d’età che salterà la fase lavorativa per trasformarsi tout court in anziana. I genitori e i nonni continuano a sovvenzionare, per quel che possono, un figlio o un nipote sempre più frustrato nel chiedere quei pochi euro da spendere in benzina per girovagare senza meta con l’auto paterna.  
I governi, specie quelli nazionali che in questo hanno le maggiori responsabilità, si susseguono, si alternano, cambiano colore. A volte cambiano anche le facce. Tutti promettono le stesse cose che nessuno mai mantiene. Intanto la delinquenza trova terreno fertile per espandere le proprie radici. Il miraggio di facili guadagni si impossessa di categorie giovanili sempre più estese. Droga, prostituzione, bullismo, microcriminalità e tante altre forme di illegalità diventano sempre più comuni.
Le forze dell’ordine sembrano condannate come Sisifo a fare un lavoro inutile e per lo più col rischio di rimetterci la pelle.
Qualcuno dirà che si tratta di un eccesso di pessimismo. In effetti, per fortuna, i giovani disoccupati neolaureati di origini meridionali, non delinquono affatto. Anzi la gran parte, dopo aver festeggiato con parenti e amici (in primis i genitori orgogliosi e contenti), la laurea conseguita in un ateneo spesso del Nord, ritornano in quelle, realtà spesso misconosciute con la segreta speranza di poter mettere a frutto gli studi compiuti con tanti sacrifici. Non sono certo costoro i giovani che con estrema leggerezza sono stati bollati come “bamboccioni”. Sarebbe il caso di spiegare a chi tale epiteto ha affibbiato ai giovani, che bamboccioni si nasce e i giovani del Sud in particolare, non sono per nulla bamboccioni per il semplice fatto che non se lo possono permettere in nessuna fase della loro vita. Una vita costruita giorno per giorno sul riscatto e sulla necessità di scrollarsi di dosso tanti epiteti negativi che accomunano in un unico fascio i tanti buoni con i pochi cattivi, tutti poi dati in pasto alla cronaca che va quotidianamente alla spasmodica ricerca di storie di sangue, di sesso e di soldi.
Sono invece questi i giovani che faranno da serbatoio dal quale emergeranno personaggi  come Versace, Cassiani, Dulbecco, Cilea, Gattuso, Mia Martini: centinaia di artisti, filosofi, patrioti, scienziati, musicisti, pittori, eccetera, che onoreranno la terra d’origine, l’Italia e l’umanità intera. Sono loro i meridionali che in tutti i tempi e in tutte le discipline costituiscono la riprova che i bamboccioni non allignano in questa parte dello Stivale.
Purtroppo v’è da dire che non sempre lo sforzo sortisce l’effetto sperato. La crisi occupazionale oggi è generalizzata e per vivere al Nord si spende mensilmente più dello stipendio che si riesce a guadagnare con un lavoro a tempo determinato che sempre più spesso si conclude con un licenziamento.
Intanto nella natia Calabria mancano le braccia per seminare e raccogliere i prodotti stagionali della terra. Si assiste così all’invasione di extracomunitari, per lo più irregolari, sottopagati, sfruttati, ghettizzati, tanto ricercati quanto malvisti. Nella migliore delle ipotesi questa nuova categoria di schiavi vive ai margini della società che li utilizza quasi sempre al di fuori di ogni regola.
Sembra un mondo che funziona alla rovescia. Intanto si va avanti. Nessuno sa fino a quando. Nessuno sa come si potrà stabilire un rapporto corretto fra le diverse componenti umane che presentano evidenti diversità culturali, etniche, religiose, razziali, tutti elementi fondanti di una nuova società che al momento non esiste. Un solo dato certo è quello che si può ricavare dal passato: il crollo della potenza di Roma antica, determinò una migrazione di massa verso quella società ritenuta opulenta. Si verificò, nell’arco di un millennio una mescolanza di uomini e idee, di culture e di etnie che trasformò l’intero mondo conosciuto.
Certamente se un fenomeno analogo si ripeterà, non avrà bisogno di un millennio per affermarsi, vista la velocità delle comunicazioni odierne. Ma sicuramente esso rappresenterà la creazione di un nuovo umanesimo di cui al momento non si scorgono le caratteristiche, i fini e le modalità di affermazione. L’umanità andrà sicuramente avanti perché la vita prevarrà sempre sulla morte; la ricerca e la creazione di un nuovo benessere su questa Terra, si imporranno comunque al rischio di autodistruzione che un uso dissennato delle sue risorse potrebbe irreversibilmente causare. D'altronde l’ottimismo della ragione ha sempre dato una mano all’uomo perché potesse uscire dalle sue stesse nefandezze caratterizzate da guerre e distruzioni perpetrate nei confronti di una parte di se stessa, in nome di una conclamata diversità etnica, culturale, sociale volutamente scambiata con una presunta quanto inesistente superiorità razziale, mai dimostrata dalla scienza. E’ invece più ragionevole credere essersi trattato di una più modesta e casuale situazione di sviluppo economico di quella parte del mondo cosiddetta “Occidentale” che ebbe in successione innegabili ricadute in campo sociale, politico, culturale, vieppiù ingigantite dalla successiva colonizzazione di popoli e di beni primari che si sarebbero rivelati essenziali per la conquista di nuove frontiere del benessere.
Oggi, per fortuna, pare che la lotta per la conquista della parità di diritti dei popoli, si sposti sempre più verso la formazione di una classe politica nazionale capace, in primis, di saper mettere a frutto le risorse naturali del proprio Paese e fra queste quelle più compatibili dal punto di vista ecologico.
Lavorare significherà sempre più ricercare un equilibrio fra l’uomo e la natura, razionalizzando il rapporto fra costi e benefici. Su questa strada ci sarà ben poco spazio per litigare sul colore della pelle, sul credo religioso, sulla presunta superiorità della propria cultura d’origine o su quant’altro oggi sembra dividere l’umanità smarrita dalle incalzanti conquiste tecnologiche.
La speranza è che macchine sempre più sofisticate e robotizzate, faranno i lavori più umili e più faticosi. Potrebbe essere questa una strada per liberare l’uomo dalla fatica fisica e utilizzare la sua massa cerebrale per la conquista di più eccelse vette.
Intanto diciamo con Ungaretti: “…Chi vivrà vedrà”.

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