• "Alchimie di Versi" di Giuseppe Cuda

    Scrivere è sempre stato un atto di coraggio, ma farlo in Calabria – lasciando, tra l’altro, le comodità della prosa per cimentarsi con i ritmi del verso – è addirittura segno di eroismo. Se a compiere tale impresa è poi un giovane, il plauso diventa d’obbligo e la riflessione necessaria.

  • "Il potere logora… ma è meglio non perderlo" di Giulio Andreotti

    Nel 1980 Giulio Andreotti, chiamato a pronunciare un discorso celebrativo per il centesimo compleanno dell’arcivescovo Alfonso Carinci, esordì con una famosa citazione di Menandro («Muor giovane colui ch’al cielo è caro») suscitando l’ilarità generale e mostrando quel sottile e invidiato senso di educata ironia che da sempre accompagnava i suoi interventi pubblici e privati.
    Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi di uno stile espressivo che divenne, col passare degli anni, una vera e propria weltanschauung, indizio di una mente raffinata e colta capace di applicare con naturalezza e cognizione di causa l’antico adagio latino «castigat ridendo mores».

  • "Invernale": anatomia di un classico moderno

    Quando Italo Calvino si prodigò nella definizione della nozione di “classico”, ebbe il buon senso di non concludere il concetto, ma di lasciare spiragli aperti sul futuro di una letteratura che, per quanto ormai degradata a mero prodotto commerciale, avrebbe potuto generare qualche testo degno del suddetto appellativo. 

  • "La storia di Maggese" di Marco Cavaliere

    Marco Cavaliere, l'autore di questo piccolo scrigno di emozioni sapientemente impaginate, ha solo 27 anni, ma non è certo nuovo a scritti impegnati e a opere letterarie introspettive.
    Nel suo ultimo lavoro, in libreria da poche settimane, questo giovane ingegnere con la passione per penna e calamaio, riesce facilmente a dimostrare che ventisette anni non sono troppi per smettere del tutto di sognare e nemmeno pochi per credere in un altro mondo possibile.

  • "Morimondo", epopea di acqua e di carta

    Ci sono viaggi che scuotono le esistenze anestetizzate dall’illusorio scintillio di un capitalismo divenuto sempre più inumano e incapace di contemplare al suo interno spazi riservati alla bellezza e al silenzio.

  • “Il labirinto degli spiriti” di Ruiz Zafón Carlos

    È finalmente arrivato a completare la serie de “Il cimitero dei libri dimenticati” il quarto volume dal titolo “Il labirinto degli spiriti”. Il libro esce dodici anni dopo “L’ombra del vento” il primo romanzo della saga che comprende anche: “Il gioco dell’Angelo” e “Il prigioniero del cielo” e che rappresenta un universo letterario trasformato in uno dei più grandi fenomeni editoriali dei cinque continenti. Un’opera monumentale scritta da Carlos Ruiz Zafon, che è tra gli autori più conosciuti nel panorama della letteratura internazionale dei nostri giorni e l’autore spagnolo più letto in tutto il mondo dopo Cervantes. I romanzi che compongono questo ciclo sono legati tra loro da diversi fili conduttori sebbene ciascuno di essi offra una storia indipendente e chiusa in se stessa. I libri possono essere letti in qualunque ordine o separatamente.

  • Adesso di Chiara Gamberale

    “Adesso” è un romanzo problematico, specchio fedele di una nuova concezione della letteratura e dell’amore che si va facendo strada nella società tecnocratica e globalizzata in cui siamo immersi.
    Chi si aspetta un buon testo letterario, magari colmo di richiami alla gloriosa tradizione dei più importanti scrittori italiani, farebbe bene ad astenersi dalla lettura delle pagine di Chiara Gamberale, ma se si vuole intraprendere un percorso – accidentato – tra i meandri di una scrittura anarchica e, talvolta, presuntuosa e ripetitiva il testo dell’autrice romana diventa un passaggio quasi inevitabile.

  • Ardian che voleva svuotare il mare

    Mentre, accompagnati dalle spensierate melodie di fatui tormentoni musicali estivi, ci accingiamo ad assaltare con spirito vacanziero gli splendidi e assolati chilometri di costa che circondano il Belpaese, i principali mezzi di informazione continuano ‒ ahimè, stancamente ‒ a raccontare di drammi legati ad immigrazioni che rendono le spiagge italiche agognato punto di arrivo ideale e reale per migliaia di esseri umani il cui bagaglio si riduce ad «una bisaccia vuota e una storia infinitamente piena».

  • Bernhard, un eccentrico a Ferramonti

    Dottissimo, visionario, incrollabilmente fiducioso nell’azione di una Provvidenza ‒ solo in parte cristiana ‒ figlia spuria di un sincretismo che miscela credenze, avvicina epoche, abbraccia Oriente e Occidente, amalgama saggezze e vite di uomini profondamente diversi tra loro nello spazio e nel tempo, Ernst Bernhard (1896-1965) trasmuta la costrizione della condizione di internato in un itinerario di analisi dei meandri più riposti della propria psiche. 

  • Di paesaggi guariti e memorie risanate

    L’umanità ha da sempre avuto un atteggiamento bifronte nei confronti della memoria e la letteratura, fedele specchio della vita e dei tempi, ha provveduto in più occasioni a registrarne gli esiti.
    Da un lato, si è sviluppato un senso di repulsione verso il ricordo. Ne dà testimonianza l’argentino Jorge Luis Borges (1899-1986) che, in uno degli scritti contenuti nel volumetto filosofico-letterario intitolato Altre inquisizioni, racconta un episodio particolarmente significativo: «Il fuoco, in una delle commedie di Bernard Shaw, minaccia la biblioteca di Alessandria; qualcuno esclama che brucerà la memoria dell’umanità, e Cesare gli dice: Lasciala bruciare. È una memoria d’infamie».

  • Elogio (spudorato) di Jep Gambardella

    In una Roma sospesa tra l’afa e la gloriosa storia millenaria ‒ prezioso museo a cielo aperto di cui, spesso, l’italiano medio si rende indegno con la sua indifferenza ‒, si consuma la vicenda esistenziale ed artistica di Jep Gambardella, magistrale protagonista de La grande bellezza, testo di Paolo Sorrentino e Umberto Contarello divenuto, ben presto, pellicola insignita di premio Oscar nell’ormai lontano 2014. 

  • Il giaco e lo stiletto

    La vita, si sa, non ci esenta da improvvisi quanto dolorosi colpi di stiletto che trapassano impietosi il nostro personale giaco costituito da affetti, ricordi, convenzioni e convinzioni che, nel corso del tempo, con pazienza e spirito di autoconservazione, accumuliamo per non soccombere dinanzi all’inevitabile inverno di certi giorni. 

  • Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald

    Long Island, 1922. Il giovane e rampante Jay Gatsby allieta centinaia di persone con sontuose feste capaci di attirare nel suo giardino una variegata umanità amante della vita e dei più stravaganti divertimenti. Lo stesso padrone di casa − elegante, ricco e misterioso − sembra godere di queste atmosfere che si consumano tra luminarie, note di jazz e il fruscio degli eleganti abiti femminili. C’è, tuttavia, una ruga che offusca impercettibilmente la fronte serena del giovane milionario e ne condiziona l’esistenza. Si tratta di un antico e mai sopito amore conclusosi, cinque anni prima, a causa della sua non florida situazione economica.

  • Il lavoro intellettuale, di Jean Guitton

    “Il lavoro intellettuale” è un libro che stupisce per la sua semplicità, dato ancor più rilevante dal momento che si tratta dell’opera di un filosofo che, contrariamente ai suoi colleghi, sfugge all’utilizzo di un linguaggio astratto e quasi iniziatico. Tuttavia, l’umiltà della forma non deve erroneamente indurci a pensare ad una povertà contenutistica che, sicuramente, non è attribuibile al suddetto testo.

  • Il mestiere di vivere di Cesare Pavese

    Per comprendere appieno “Il mestiere di vivere” occorre partire dall’ultima annotazione scritta dal suo autore il 18 agosto 1950, appena tre mesi dopo aver ricevuto il premio Strega: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». È l’addio di Cesare Pavese alla letteratura, un lapidario e freddo commiato che anticipa il volontario congedo dalla vita che lo scrittore consumerà nella notte tra il 26 e il 27 agosto in uno dei più noti alberghi di Torino.

  • Il patibolo e la grazia

    Inizierò con un aneddoto. Si racconta che lo scrittore russo Lev Nikolàevič Tolstoj (1828-1910) ricevesse quotidianamente per corrispondenza centinaia di versi di improvvisati poeti in cerca di un’approvazione e con sogni di visibilità. Soffocato dalle molteplici lettere, egli si lamentò della «perniciosa epidemia di poesia» che imperversava in quegli anni, ma il fenomeno non si stemperò né si interruppe e Tolstoj, quasi esasperato, passò all’azione decidendo di rispondere a questa singolare proliferazione poetica con delle cartoline su cui campeggiava un timbro riportante per tutti il medesimo testo: «Lev Nikolàevič ha letto i vostri versi e li ha trovati molto scadenti. In generale, non vi consiglia di dedicarvi a questa attività». 

  • L'attesa e il piacere

    L’attesa è, a ben vedere, la cifra comune delle nostre vite. Essa è radicata a tal punto nelle esistenze umane da poter essere accostata addirittura alla paura, la più ancestrale delle emozioni, che a conti fatti non è altro che l’attesa amplificata di un ignoto evento che potrebbe o non potrebbe verificarsi e che, nell’incertezza, attiva meccanismi istintuali di sopravvivenza. 

  • L’amante giapponese di Isabelle Allende

    “Ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata, ma anche in questi casi rimangono braci calde pronte ad ardere nuovamente non appena ritrovano l’ossigeno". Protagonista dell’ultimo romanzo di Isabel Allende è l’epica storia d’amore tra Alma Belasco e il giardiniere giapponese Ichimei: una vicenda che trascende il tempo e che spazia dalla Polonia della Seconda guerra mondiale alla San Francisco dei nostri giorni.

  • La stranezza che ho nella testa, di Orhan Pamuk

    La Stranezza che ho nella Testa è il titolo dell’ultimo romanzo di Orhan Pamuk. “Un ragazzo ama una ragazza”. Anche questa storia come tutte le storie, anche quelle più complicate, nasce da questa semplice, universale premessa. “La stranezza che ho nella testa” è il racconto di un uomo in cerca di equilibrio, Mevlut, lavoratore indefesso, inguaribile ottimista (qualcuno direbbe ingenuo) e sognatore.

  • Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane F.

    “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” è un romanzo scomodo, inquietante sotto molti aspetti, ma capace, a distanza di anni, di far interrogare e riflettere il lettore che vi si accosta senza pregiudizio e con adeguato spirito critico.
    Il libro nasce da un colloquio con Christiane Vera Felscherinow, la protagonista delle vicende, la quale racconta realisticamente la sua triste storia a due importanti giornalisti − Kai Hermann e Horst Rieck – che, ben presto, smetteranno i panni degli intervistatori per vestire quelli, stretti ma necessari, degli ascoltatori.
    Le pagine scorrono con una certa rapidità, ma la bruttura e il degrado di cui è intrisa l’esistenza di una tossicomane appena adolescente inducono a lunghe e sofferte pause di riflessione.

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